sabato, maggio 17, 2008

disprassia ed amicizia

Qualche tempo fa ho scritto “ebbene si, sono disprassico”, queste considerazioni continuano la serie.

La cosa più fastidiosa della disprassia è che gli tutti gli altri, semplicemente, non capiscono. Il 6% della popolazione (cioè poco più di uno su 20) è afflitto da una qualche forma di disprassia dell'età evolutiva. Eppure i restanti 19, siano essi compagni, insegnanti, allenatori, dottori e persino mamme e fratelli, ti trattano come uno che non ascolta e, nel migliore dei casi, non si impegna.

Pensate all'amicizia, che nasce dal fare insieme, dal giocare; e sappiamo tutti che non esiste gioco che non si nutra di un minimo di competitività.

Un bambino disprassico, in genere, troverà enormi difficoltà:

  • Nell'andare con i pattini a rotelle o con lo skatebord
  • Nel giocare a calcio, a pallacanestro, a pallavolo, a tennis
  • Cantare e suonare (come si può pretendere che una persona con la parte del cervello deputata al controllo motorio poco sviluppata sia intonato o rispetti il ritmo?)Nel nuoto
  • Nel tirare le freccette (non solo a far centro, anche nel prendere semplicemente il bersaglio)
  • Nei piccoli giochi d'abilità di cui i bambini si vantano da sempre:
    • schioccare le dita,
    • battere la stecca,
    • fare i nodi (dal fiocco ai nodi marinai che si utilizzano in barca o a scout)
Ora, per quanto abbia un buon carattere, positivo e tollerante, come più fare un bambino a conquistare l'ammirazione, o almeno la stima, dei coetanei? E, senza stima, come può coltivare l'amicizia?

Alla scuola materna, quando mio figlio aveva 5 anni, avevano realizzato un diagramma relazionale. Si tratta di un cerchio in cui i bambini sono rappresentati come punti sulla circonferenza. Ad ogni bambino viene chiesto di tirare alcune freccie da se stesso verso i migliori amici.
Gabriele era l'unico a non essere puntato da nessuno.
~

Mi sento fortunato